I ragazzi di San Frediano

L'antica porta che da accesso a S. Frediano

L’antica porta che dà accesso a S. Frediano

Sono cresciuto in San Frediano, a Firenze, in un quartiere popolare. Anche se oggi è il centro della movida fiorentina, pieno di locali fighetti e di ristoranti da minimo 30 euro a persona, quando ero piccolo era un quartiere complicato. Era pieno di tamarri, bulli e truzzi. Le questioni si risolvevano a schiaffi e più di una volta mi è capitato di vedere risse e botte. Alle volte i ragazzi del quartiere si muovevano in blocco in missione per andare ad assaltare qualche scuola occupata o per risolvere offese date o ricevute con ragazzi di altre zone. Era, ed è ancora, la casa dei Bianchi che in Santa Croce danno battaglia agli altri 3 quartieri di Firenze. Via della Chiesa, la Machiavelli, i Nidiaci, piazza Tasso, tutti posti da cui la Firenze bene stava accuratamente lontana!

Malgrado questo, in quel quartiere ho imparato tante cose. Ho imparato che la parola data conta , ho imparato che una stretta di mano ha più valore dei soldi e ho imparato a distinguere le persone vere da quelle che non lo sono guardandole negli occhi. Anche se ci si prendeva a botte da mattina a sera e ogni occasione era buona per darsele di santa ragione, quel quartiere mi ha insegnato il valore di aiutarsi, di cooperare, del dare senza ricevere niente in cambio. Mi ha insegnato il rispetto.

Se avete voglia di capire meglio l’atmosfera di S. Frediano guardatevi Florence Fight Club, il documentario sul calcio storico fiorentino. Qui sotto trovate il trailer, se vedete gente vestita di bianco, beh quella è la gente con cui sono cresciuto:

Quando avevo 18 anni ho organizzato e gestito, con l’aiuto di altri studenti, un’occupazione nella mia scuola, il liceo scientifico Rodolico, situato in una zona diversa ma limitrofa a S. Frediano. La scuola era stata presa in mano dagli studenti (non senza proteste e lotte da parte del corpo insegnante e dalla preside) per un periodo di autogestione. Io e un’altra decina di persone avevamo deciso di dormire nella scuola, per riappropriarci a pieno di spazi che ritenevamo anche nostri. Sapevamo bene che avremmo subito l’assalto dei ragazzi di S. Frediano una di quelle notti, quindi ci eravamo attrezzati per resistere all’assedio: tutte le finestre erano state sbarrate e rinforzate da banchi, le porte sprangate, qualsiasi via di accesso resa inservibile.

E una notte arrivarono, erano tanti e cattivi. Io li conoscevo bene, era gente con cui ero cresciuto, da cui le avevo prese e le avevo date.

“Quando entriamo li dentro Giulio ti ammazziamo di botte, non ti ritrovano!” urlavano mentre davano calci alle porte. Ci stavano assediando, ma pensavo che per loro fosse impossibile entrare.

A un certo punto però, l’inaspettato. Uno di loro, il più piccolo e il più agile, si era arrampicato per una decina di metri fino a una finestra al terzo piano che non pensavamo potesse essere sfruttata e prima che ce ne rendessimo conto aveva aperto le porte antincendio. Il perimetro di sicurezza aveva ceduto, gli assalitori erano dentro. Nei momenti immediatamente successivi alla caduta della nostra fortezza ho pensato seriamente di essere morto.

Invece i vecchi nemici, dopo essere entrati e avermi rifilato una buona dose di pacchine, procedura chiamata “la nuvola” in S. Frediano, che consiste nel mettere in mezzo al gruppo una persona mentre il gruppo le tira schiaffetti a raffica,mi hanno preso a braccetto e mi hanno invitato ad entrare con loro in un’aula. Li mi hanno offerto da fumare e da mangiare mentre si chiacchierava, si rideva e si ricordavano i tempi andati.

Stavano portando onore e rispetto al nemico, perché non c’è gloria nel combattere un nemico privo di valore. E per farlo, per darmi onore, condividevano ciò che avevano, portando onore anche a loro stessi.

Adesso che sono in Africa quello che S. Frediano mi ha insegnato mi permette di vedere e capire la “accoglienza africana”; la lezione che ho imparato nel mio quartiere mi consente di essere profondamente toccato da questo atto di amore che ha dentro di se una saggezza millenaria: il condividere. Non importa quanto poco si abbia, siamo tutti sulla stessa barca e anche se si ha poco, si mette a disposizione degli altri. E’ questo che cercavo di narrare nel mio pezzo “Welcome Whiteman“, è questo che in occidente ci siamo scordati. Il comprendere profondamente e il mettere in pratica questo insegnamento antico ti rende più ricco di qualsiasi somma di denaro.

A mio avviso il posto in cui questa conoscenza è stata scordata in maggior misura sono i paesi più ricchi e più “civilizzati”, primo fra tutti gli Stati Uniti. Come racconto nel pezzo “Stati Uniti della povertà”, “l’America è un paese in cui se non hai i soldi, non sei nessuno. E’ un paese in cui sei costantemente in un gioco di potere, in cui non c’è solidarietà da parte di chicchessia. Se stai morendo, la gente si scansa, facendo finta di niente, augurandosi che non che non capiti anche a loro la stessa cosa e dicendosi tra se e se “meglio a te che a me bro…”

 Nei paesi poveri che ho visitato la cosa più bella che abbia mai visto è la solidarietà tra essere umani, o il sorriso che si ha per una bella giornata di sole, anche se non si possiede niente. Qua, al contrario, la povertà è assai presente e viene vissuta come una guerra. Tutti sono guardinghi e cercano di difendere quel poco che hanno.”

Esemplificativo di questo concetto è un video che ho scovato su internet qualche tempo fa e che mi ha toccato profondamente. Un barbone negli Stati Uniti viene avvicinato da un ragazzo per fargli un regalo e questo gesto commuove a tal punto il senzatetto che, dopo aver offerto al ragazzo di condividere il piccolo tesoro che gli era stato dato, si mette a piangere constatando il fatto di non aver avuto nessun amico per tanto tempo, di essere solo.

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2 risposte a I ragazzi di San Frediano

  1. alessandra ha detto:

    questi ricordi da lontano fanno bene alla salute, dicono che l’africa attui in noi occidentali un processo di analisi psicoanalitica naturale, una specie di sostenibilità della biodiversita umana, un’ecologia della persona. A me è successo e il suo procedere naturale si comprende nel tempo, vedrai a casa su porta san frediano sorrisi di amici lontani bianchi e neri che sono adesso te, le tue popolazioni ,

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  2. Pingback: L’uomo e la crisi | Il viaggio di Giulio Be

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